La memoria nella filosofia antica


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La memoria secondo Platone

Nella filosofia antica la nozione di memoria si connette con il problema della possibilità di un sapere inconscio cui essa dà luogo. Alla sua soluzione sono legate sia la concezione platonica sia quella aristotelica.

In Platone la memoria (μνήμη) è una sorta di serbatoio delle conoscenze, in cui l’anima accoglie e ritiene le impressioni; sulla differenza tra questa memoria inconsapevole e la reminiscenza consapevole (ἀνάμνεσις), attivata in occasione dei richiami associativi della conoscenza sensibile, Platone imposta poi la sua dottrina sulla conoscenza delle idee come reminiscenza di un sapere che l’anima avrebbe acquisito nella sua precedente esistenza. Pur senza aderire alla dottrina gnoseologica platonica dell’anamnesi, Aristotele riprendeva la distinzione di Platone su basi psicofisiologiche nel De memoria et reminiscentia, dove la memoria è concepita come una funzione che conserva e fissa in immagini i dati del senso, e la reminiscenza come la ricerca attiva di quelle immagini, che si attua secondo un “movimento”, così come un movimento aveva dato luogo, tramite la sensazione, all’impronta nell’anima. La concezione della memoria come serbatoio di rappresentazioni di derivazione sensoriale è posta in discussione da Plotino, che fa della memoria un’attività di esclusiva pertinenza dell’anima, indipendente dalle immagini e dalle rappresentazioni connesse alla sensibilità. In San Agostino, in cui accenti platonici si mescolano a influenze plotiniane, torna una concezione della memoria come luogo in cui si conservano le conoscenze, e questa immagine rimarrà praticamente immutata nel pensiero medievale.

Brano tratto da Enciclopedia Treccani

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