Invito alla lettura


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Il mio tempo|Giuseppina D'Amato
Il mio tempo|Giuseppina D’Amato

PROLOGO

I diari

Salgo nel mezzanino intenzionata a ripulirlo dalle cianfrusaglie. Appena spalanco la porta, particelle umide di aria calda si affollano sul mio viso e riempiono i polmoni. Ansimo. 

Sono le nove di mattina e l’afa è già intollerabile in quest’estate surriscaldata. Indosso la mascherina anti polvere e inizio a liberare il pavimento dalla congerie che lo invade. Soffoco. Tolgo la maschera. 

Metto da parte qualche pezzo da restaurare e getto il ciarpame in grossi sacchi di plastica nera: ne ho riempiti già quattro. Li porto in giardino due alla volta. Ritorno in soffitta, boccheggiando. Salgo, ridiscendo e torno sù, sudata e senza fiato.

Mi guardo intorno, ho ancora tanto lavoro: un armadio sbilenco traboccante abiti vintage, una credenza rustica con improbabile vasellame e pile di libri stipate contro il muro. Posso farcela. 

Comincio a disporre i volumi negli scatoloni per il centro di raccolta differenziata. Mentre li sposto, intravedo del legno. 

Forse, c’è una cartiera addossata alla parete. Proseguo e scorgo delle guarnizioni di metallo dorate, poi compare la bocchetta istoriata di una serratura e riconosco le parti di una cassa. 

Libero in fretta il coperchio e lo sollevo.

Il baule contiene un mondo di libri stratificati, alcuni sono appartenuti a mia madre, altri ai nonni. Ne apro qualcuno a caso e sul frontespizio riconosco le loro firme. Sposto i volumi delle superiori, scendo alla Moho delle scuole medie fino al mantello di riviste e giornali, datati anni ottanta, settanta, sessanta. 

Ho una decina di scatole da portare in garage: il che significa macchinate di rifiuti all’isola ecologica. Già mi prefiguro le occhiate sbieche della responsabile. 

Manca l’ultima stratificazione di questo piccolo pianeta in soffitta. Sul fondo, nucleo di un universo sconosciuto, ci sono delle copie formato gigante di Gioia, Amica, Grazia, Oggi, Tempo, Fotografare e due quaderni, uno ha la copertina verde e l’altro rossa. 

Li prendo e li getto in un cartone, felice d’aver sgomberato buona parte del pavimento. 

Uno dei taccuini si apre su una calligrafia minuta e delicata che mi incuriosisce. Lo ripesco, mi avvicino al lucernario, da cui filtrano i raggi del solleone, e leggo qualche riga. Scorro fino in fondo alla pagina, ma chi ha scritto non ha lasciato la propria firma.

IL DIARIO VERDE

Capitolo 1 

1. Scende la pioggia

Mercoledì, 2 novembre 1966 

Mattina

Piove. Piove senza sosta, da molti giorni. La noia è devastante. Non ho nulla da fare. Uscire è impossibile: il cortile è un pantano. Mi angoscio e sento un vuoto interiore. La pioggia che annega il cielo e la campagna, m’inquieta e ne ignoro la ragione. 

Ho deciso di scrivere. Provo un irresistibile bisogno di raccontare. Narrare è necessario, per vincere questo tedio struggente. 

Pomeriggio

Noi ragazze non possiamo uscire e in tutto dipendiamo dagli adulti. Quando ho saputo che l’istitutrice andava in centro, sono corsa su per le scale strette e buie, e sono inciampata in un gradino: sarei caduta, se non mi fossi aggrappata al corrimano.

Mi sono precipitata in portineria, appena in tempo. La signorina Mariella aveva già aperto la porta. Al mio richiamo si è girata, sorpresa di vedermi. 

«Michela, dimmi», ha esclamato, sollevando le sopracciglia sottili.

«Vorrei un quaderno», ho risposto.

«Come dev’essere?» ha chiesto brusca, senza togliere la mano dalla maniglia, come chi ha molta fretta.

«Alto e con la copertina plastificata», ho precisato.

«Va bene. Lo vuoi a righe o a quadretti?» ha aggiunto con un sorriso gentile.

Ho sollevato una spalla e, increspando il labbro superiore, ho replicato «Fa lo stesso.»

Lei ha strizzato le ciglia e le pupille sono diventate piccole piccole. «Per quale materia ti occorre?» ha voluto sapere.

La mia indecisione deve averla confusa. «Nessuna. Scriverò di me», mi è sfuggito. Poi mi sono pentita.

Lei ha spalancato le palpebre truccate con il kajal nero che sporca lo sguardo innocente. «No, non dirmi. Anche tu, il diario?»

«Sì», ho ammesso, seria. Ora, sorge il dubbio. «La sua era una domanda o una critica?»

Ha alzato il mento. «Che cosa scriverai?» ha chiesto.

A saperlo, ho pensato, abbassando gli angoli della bocca in un’espressione incerta. «Inizio con la cronaca della mia vita», l’ho sparata grossa. 

Ha annuito con piccoli cenni del capo. «Vedrò d’accontentarti», ha detto salutando con un gesto della mano. Poi ha aperto l’uscio. 

«Grazie, torni subito», le ho detto, mentre si chiudeva la

porta alle spalle. Avrei voluto suggerirle di non fermarsi al bar a bere il caffè e a parlare dell’Arno gonfio di pioggia, ma lei era già sparita. 

Sono ritornata verso lo studio uno, rasserenata dal suo buon gusto, aggrappandomi al regolo, per non ruzzolare dalla scalinata. Accidenti, è davvero pericolosa. 

Prima di rientrare, mi sono attardata in veranda accanto a una delle numerose porte finestra. Rapita dall’acqua, ho osservato la cuoca che guadava la corte con ai piedi un paio di stivaloni di gomma e si allontanava a passi lenti sotto la pioggia scrosciante. Viene giù a secchiate, da ore e ore. 

Ho fissa nella mente l’immagine della direttrice che, disperata, alza gli occhi al cielo e ripete «Ohi, il Signore Iddio s’è scordato di noi fiorentini.»

2. L’uomo, il bambino e il cane

Sera

Ricordo d’aver fatto un tema, ricco di senso, in prima media di cui ancora conservo la minuta. È la prima storia. «Oggi compito in classe», disse la professoressa, togliendo dalla borsa tre fascicoli di prove.

«Ma non ci ha avvisato», protestammo in coro. Lei indugiò un istante. Guardò da un angolo all’altro dell’aula e riprese a rovistare nella borsa. 

«Non importa. È un tema libero. Voglio vedere se avete fantasia», asserì, posando sulla cattedra la temuta matita rossa e blu.

«Possiamo decidere l’argomento?» domandai, vincendo la consueta timidezza: due ore di libera fantasticheria erano un invito a volare.

«Sì. Potete inventare una storia, una fiaba oppure descrivere una persona, un avvenimento», rispose, ravvivandosi una ciocca cotonata.

«Si può parlare di cantanti, film o della famiglia?» s’interessò la sgobbona, seduta accanto alla cattedra. L’insegnante slegò dal collo il foulard “giardini di seta” e lo avvolse alla tracolla del bauletto Gucci di pelle scamosciata marchiata dalla griffe.

«Certo. Qualsiasi argomento va bene». La bocca colore pesca si sollevò in un sorriso. «Adesso, prendete due fogli protocollo, uno per la brutta, l’altro per la bella copia e iniziate», disse, poggiando la borsa sul registro azzurro.

«Qual è la traccia?» insistè la prima della classe.

La signorina si sporse in avanti. «Scegli tu il tema», scandì in tono scocciato.

«E basta?» proseguì la secchiona.

L’insegnante, davvero spazientita, s’appoggiò allo schienale della sedia. «Sì, poi date un titolo», disse e distese l’orlo della gonna sulle ginocchia con piccoli gesti nervosi. 

Esaurite le domande e le risposte, prese un plico, tolse la fascetta, distese i fogli con i palmi aperti e iniziò a leggere i compiti, mettendo segni rossi e blu qua e là.

Tolgo il foglio piegato in due dall’antologia epica e inizio a ricopiare il testo.

4 Replies to “Invito alla lettura”

    1. Grazie, molto gentile per la segnalazione. Ora funziona. Ho provato più volte a scaricare qualcuno dei tuoi libri, ma compare il messaggio: applicazione non compatibile con il Mac. Cosicché ho letto gli incipit on-line che sono interessanti e ben scritti.
      Buona notte. Pina.

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