Comunicazione. #5


Un uomo anziano, nodoso e rigido come una lettera “I”, intagliata nel legno, sedette al tavolo accanto al grammofono, con un amico più giovane.
Il compagno, poco più alto e robusto, col viso giocondo e ben nutrito, ricordava la morbida rotondità della vocale “O”. Pensai fosse una buona forchetta, un mangiatore a “gogo” di polenta e spiedo con l’intingolo di burro e salvia.
I due, insieme, erano la rappresentazione tridimensionale e vivente del pronome “io”, un perfetto connubio vocalico per indicare un singolo. Anche la signora in nero con i bei capelli sale e pepe,  giunta in compagnia di una ragazza, sembrava apprezzare la buona cucina, come me del resto.
Il vizio di scrivere e giocare con la lingua e le parole non mi abbandonava mai, a quel tempo. Non c’era riposo per la mia mente affaticata dalla scrittura. Finii la colazione, e iniziai a scrivere sul taccuino al peperoncino, la mente impermeabile al vocio incessante della sala bar. Notai che i nuovi arrivati erano sorridenti e contenuti. Non solo tenevano basso il tono della voce, ma non gesticolavano in modo compulsivo, come gli altri. I pochi segni erano composti e finalizzati. Così mi parve.
Quando il cameriere si avvicinò al tavolo, il cliente giovane distese le labbra in un sorriso aperto. Guardò l’amico, che assentì con una lieve mossa del capo. Poi sollevò indice e pollice a formare una “V”. Il linguaggio verbale ha mille sfumature, pensai, ma la comunicazione non verbale espone a ulteriori rischi: una resa errata conduce a incomprensioni, capaci d’interrompere il flusso comunicativo.
Come se m’avesse letto nella mente, il ragazzo tatuato volle sincerarsi, e ripeté il gesto, al che i due uomini annuirono. Mi stupii non poco, quando il cameriere mise la mano destra all’altezza della bocca, oppose indice e pollice intorno a un oggetto invisibile e minuscolo, e lo avvicinò alle labbra con piccole torsioni della mano. L’ordine fu chiaro anche a me: due caffè in tazza piccola.
Appena il cameriere si allontanò, ripresi a scrivere. Chiara digitava un messaggio dopo l’altro, indifferente al mondo intorno a sé. Il ritorno del cameriere con i due caffè suscitò di nuovo il mio interesse per la coppia.

Più guardavo l’avventore anziano più il suo viso, secco e scavato dalle rughe, ricordava la fisionomia di Eduardo De Filippo, il grande attore, regista e commediografo napoletano. Mentre nuotavo fra le associazioni mentali, il cliente giovane guardava Chiara con insistenza. Ammiccò verso l’amico, e mosse la testa di lato in modo impercettibile.

«Guarda la ragazza.» sembrava dire.
Il vecchio non batté ciglio. Sapeva che lo stavo osservando. Poi il giovane fece scivolare i polpastrelli lungo le guance grassocce, fin sul mento, appuntò le labbra, e le increspò in un gesto d’apprezzamento.
Di nuovo l’anziano annuì, abbassò le palpebre, scosse il capo, e pose l’indice sulle labbra serrate.
La ragazza è carina, parve dire, ma la mamma non ci perde d’occhio. Smettila. Taci. Tutto inutile. L’altro continuò a sbirciare nella nostra direzione, e, scansando le clienti che si erano frapposte fra noi, seguitò a spiegare qualcosa in modo sempre più concitato. Disegnava nell’aria una figura con ampi gesti, poi si soffermava sui dettagli del viso, gli occhi e i capelli lunghi, sciolti sul petto. Indicava la parete, componeva un’immagine che vedeva solo lui, e muoveva le mani all’indietro, come se avesse voluto gettarsi qualcosa alle spalle.
L’uomo anziano lo scrutava con la fronte aggrottata e un malcelato imbarazzo. A un tratto, prese il compagno per un braccio, e lo invitò a uscire dal locale. Non ebbi tempo per le ipotesi, ché udii la voce di Chiara.
«Ma quanto hanno chiacchierato quei due signori sordomuti!» diceva, per nulla turbata.

8 Replies to “Comunicazione. #5”

    1. Mi dispiace Pina, anche noi qua abbiamo preso raffreddore, tosse ma senza febbre, stai tranquilla non stancarti, vedrai che ti riprendi, ci vuole un po’ di pazienza, questo purtroppo e’ il periodo dei malanni, aspettiamo la primavera, ti abbraccio tantissimo, bacioni e buona domenica, ❤

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